da Pietro Tosca corriere.it
Ormai presenza fissa sulle rive di Adda e Sebino. E ora una barca fatta su misura
Era il novembre 1994 e l’associazione dei sommozzatori di Treviglio stava effettuando uno dei suoi primi interventi a Rivolta per recuperare il corpo di Pietro Megale, scomparso nell’Adda 15 giorni prima mentre cercava di salvare la moglie scivolata in acqua. Per sopportare il freddo, i sub dovettero legare dei sacchetti di cellophane ai piedi perché non avevano altro. Oggi il gruppo festeggia il 25 anni all’auditorium della Same con l’orgoglio di essere diventato un unicum in Italia nel soccorso fluviale e lacustre. E presenta il prototipo di barca speciale per il soccorso, sviluppata da un cantiere di Udine sulle loro indicazioni.
Venticinque anni che Giacomo Passera, presidente e fondatore del gruppo, ha vissuto sempre in prima linea. Fu lui nel 1993 a dar vita ai Sommozzatori di Treviglio. «Nel 1990 mi ero avvicinato alla Protezione civile — racconta —. In quel periodo restai molto colpito da alcune disgrazie capitate nei fiumi e così proposi di portare l’esperienza che avevo maturato al Centro sub di Treviglio dal 1982. E nel 1993 il nucleo dei sub trevigliesi era già composto da una decina di persone». Dopo pochi mesi però l’attività dei sommozzatori si rivela difficile da gestire per una Protezione civile specializzata nel rischio chimico. «Uno dei nostri primi interventi — continua Passera — fu di ripulire la passerella di Fara d’Adda dai tronchi e dai rami incastrati tra i piloni, e ci immergemmo in acqua con le motoseghe. Quell’anno ci fu un’alluvione in Piemonte e rimasi colpito dal caso di un contadino annegato nella piena. Ci fu chiaro allora che la nostra missione doveva essere di soccorso e sorveglianza dei fiumi». Ancora oggi nel periodo estivo tutti i sabati e le domeniche i sommozzatori vigilano sull’Adda a Fara e Canonica e sul lago d’Iseo.
«Visti i problemi con la Protezione civile — spiega Passera — decidemmo di andare per la nostra strada fondando la nostra associazione. Fu un’avventura: non avevamo attrezzatura ed era tutto da inventare». Il primo automezzo, un furgone Fiat 238, viene acquistato per 200 mila lire e il gommone viene donato da una ditta di nautica. Piano piano, però, il gruppo si struttura e si attrezza diventando una presenza fissa nei momenti d’emergenza. Nel 2001 si cimenta con l’alluvione a San Daniele Po: «Giravo con il sindaco sul gommone: portavamo il pasto a chi non aveva lasciato la propria casa. L’anno dopo però dovemmo fronteggiare l’emergenza a Fara e Canonica. Evacuammo il ristorante “La Lanca” ormai circondata dalle acque».
È però soprattutto il salvataggio (o, nei casi peggiori, il recupero delle salme) l’attività principale del gruppo: «Ho ancora davanti gli occhi i fratelli Mendolicchio annegati cercando di recuperare un pallone finito in acqua. Il caso peggiore però è stato quello di Anna Tatu, una quattordicenne di Cassano che nel 2014 attraversando la diga della Pora Ca’ era caduta nel fiume restando incastrata sul fondo. Dovemmo far intervenire una ruspa per liberare il corpo». Il problema più grave con cui si sono scontrati i sommozzatori è stato però quello del riconoscimento ufficiale: «Solo nel 2000 grazie a Oliviero Valoti abbiamo iniziato un percorso con il 118 che si è concluso nel 2009, con l’inserimento nel Soreu, la Sala operativa regionale emergenza urgenza».